Oggi, ultima tappa di questo Cammino, termineranno gli appuntamenti serali con il mio telefonino, dove negli ultimi 18 giorni di questo anomalo e travagliato anno, ho cercato di catturare l’essenza delle emozioni, delle gioie e anche delle sofferenze che comunque hanno rappresentato momenti vissuti in intensità. Da domani troveranno posto i ricordi e i bilanci in retrospettiva, magari utili per iniziare un nuovo progetto nel meraviglioso viaggio della vita.
Ieri abbiamo chiesto al buon Tommaso di darci un passaggio fino all’abitato di Santa Lucia per accorciare la tappa su asfalto e consentirci di dormire un po’ di più per poi arrivare a Montecassino con la necessaria riserva di energia per vivere appieno l’emozione.
Facciamo colazione al solito bar convenzionato, ahimè, sempre con brioches gommose e cappuccini lenti. Difficile trovare nelle colazioni preparate nei bar della frutta e tantomeno frullati o spremute. Riesco però a procurarmi da un solerte fruttivendolo all’angolo una mela, due prugne ed un pomodoro. Mal che vada ho il necessario per un pasto senza ricorrere ai panini con l’ottimo prosciutto locale che però ti costringe a prosciugare tutte le fontane lungo il percorso per estinguere una sete inestinguibile.
Tommaso è puntualissimo, e alle 8:30 partiamo per raggiungere Santa Lucia accorciando la tappa di almeno 10km. Lungo la strada vediamo il laghetto di Capodacqua e ci fermiamo per scattarci una we-fie di ricordo.
Ripenso a tutte le tipologie di strade che abbiamo percorso fin qua: sentieri, sterrate, carrarecce, strade forestali o militari, asfaltate o bianche, tracce nei boschi o piste erbose tra i campi. Ciascuna ha le sue caratteristiche, la sua tavolozza di gioie e dolori, e per ciascuna bisogna sapersi adattare, cambiare andatura e ritmo. I percorsi ricavati nel paesaggio naturale, soprattutto nei boschi ombrosi, hanno una propria musicalità, alimentata dai richiami degli uccelli, dallo scricchiolio dei rami secchi, dal suono attutito dei passi sugli aghi e sul fogliame secco sul sentiero, a volte anche dal suono putrido del fango che ti avvolge le scarpe per poi rilasciarle con uno schiocco sordo. Il suono dei passi sulle strade sterrate è più ritmico, meno musicale e composto da un concerto per sole percussioni: lo scrocchiare della ghiaia sotto le scarpe, il ticchettio delle punte delle bacchette sul selciato, il tintinnio degli oggetti appesi allo zaino, il fruscio degli indumenti che sfregano ad ogni passo. Le strade asfaltate invece, non hanno una propria voce, sembrano morte, inframmezzate dal frastuono sovrastante e veloce dei veicoli di passaggio. Il bordo della strada è cosparso dai rifiuti di una civiltà frettolosa e irrispettosa, oggetti morti, ormai inutili, scartati con superficialità da mani ignote ed irresponsabili. Durante le lunghe camminate sulle strade asfaltate con il sole a picco, è necessario trovare sollievo nel fischiettare tra i denti qualche marcetta, tipo “Colonel Bogey” dal film “Il Ponte sul Fiume Kway“, oppure “Habanera” di Bizet. In momenti di particolare trasporto emotivo, anche lo “Inno alla Gioia” di LvB dalla sua Sinfonia n. 9 è molto utile. Allora il corpo ritrova energia, si motiva, crea sinergia con la musica, i passi si allungano, e la fatica smette di essere l’unica preoccupazione della mente, e lo sguardo si eleva.
Oscar cammina silenzioso qualche passo avanti a me sul sentiero che sale per aggirare la collina che ci nasconde la vista dell’Abbazia. Sono circa le 10 e forse abbiamo ancora un paio d’ore di cammino per giungere alla nostra meta. D’improvviso si ferma, si volta, e mi dice: “Roberto, vorrei affrettare il passo per riuscire a visitare l’Abbazia e poi precipitarmi alla stazione e prendere al volo un treno per essere stasera a casa per cena. Magari riusciamo a salutarci su al Monastero, altrimenti ci sentiamo al telefono”. Di fatto, come avrebbe detto de Andrè riferendosi a Re Carlo, sparì alla vista tra i glicini ed il sambuco. Fa parte delle regole non scritte che due adulti vivano le esperienze di un Cammino in modo totalmente indipendente, scegliendo liberamente su cosa fare a seconda delle proprie esigenze o priorità, ma fa parte anche delle regole non scritte, che ciò che si intraprende insieme debba avere anche un punto di arrivo comune che sia condiviso e celebrato insieme. Non posso nascondere che questo inaspettato epilogo mi sia dispiaciuto, e anche molto, ma sono sicuro che Oscar abbia avuto i suoi buoni motivi per agire così, e non gliene vorrò. Gli auguro un buon rientro e procedo pensieroso per la mia strada.
Di lì a poco, mi chiama il buon Tommaso dicendomi che le tenaci signore di Reggio Emilia si trovano disorientate in un punto ben preciso del percorso e non sono sicure sulla strada. Consulto rapidamente il mio GPS e taglio per il bosco improvvisando un sentiero per intercettare la strada più a monte, e così riesco a raggiungere Angela e Stefania presso la Masseria Albaneta, e decidiamo di proseguire insieme. Esprimo il mio interesse a visitare l’obelisco eretto dal Governo Polacco sul punto più alto del colle a commemorazione del sacrificio di 1500 soldati polacchi che per primi giunsero il 18 maggio 1944 sulle macerie dell’Abbazia difesa strenuamente da un gruppo di paracadutisti tedeschi che avevano occupato le rovine dopo i bombardamenti alleati del febbraio 1944. La commozione per la vicenda, e la bellezza del paesaggio che si scorge da questo nido d’aquila, è intensa. Sotto l’obelisco si trova il cimitero polacco dove gli eroici soldati sono sepolti, e dove anche il generale polacco Anders che li guidò alla vittoria volle essere sepolto insieme alla moglie nel 1970.
La scritta dice: “Per la nostra e la vostra libertà, noi soldati di Polonia, abbiamo reso le nostre anime a Dio, i nostri corpi alla terra d’Italia, e i nostri cuori alla Polonia“
Il cammino giunge al termine, il Monastero accoglie i pellegrini con un saluto breve ed incisivo: PAX

Presento le credenziali e ritiro il mio “Testimonium” che farò incorniciare e appenderò sulla mia Wall of Fame a casa insieme alla Compostela, la Rua de la Morte, ed altri cimeli di cui sono molto orgoglioso.
