Miracolo sulla Via Francigena


Il Sacro Scoglio di Santa Rita a Roccaporena, la contemplazione del meraviglioso panorama, i leggendari miracoli della santa mi riportano indietro ad una giornata di due anni fa. Era esattamente il 17 giugno 2018.

Radicofani

Dall’altissima rocca di Radicofani io e il nipotino Matteo scendiamo a piedi nella valle dove un tempo assai lontano gli sgherri di Ghino di Tacco rapinavano le carovane di passaggio. Per dire il vero, il celebre masnadiero (il cui nome venne impiegato dopo 7 secoli da Bettino Craxi per firmare i suoi articoli sull’Avanti) usava criteri particolari nello scegliere le sue vittime. Tra i viandanti rapinati doveva esserci almeno un vescovo o un conte, altrimenti i viandanti venivano lasciati passare tranquillamente. Non solo. I ricavi delle rapine venivano distribuiti al popolo del minuscolo villaggio. Insomma, un vero e proprio Robin Hood. Solo che invece che nella mitica foresta di Sherwood, Ghino di Tacco cavalcava nella Val d’Orcia.

E’ appunto in questa bellissima valle che io e Matteo camminiamo fianco a fianco. E’ il 17 giugno 2018, in cielo non c’è una sola nuvola e, per quanto ci siamo avviati di buon’ora per evitare il caldo, il sole comincia ben presto a picchiare. A 8-9 km da Radicofani le erte colline della Val d’Orcia si allargano gradualmente in un territorio pianeggiante. Costeggiamo il Fiume Paglia lungo la vecchia Cassia. Matteo, che ha 12 anni, è un ottimo camminatore, alto e forte per la sua età. Chiacchieriamo piacevolmente, ogni tanto ci scattiamo foto, e maciniamo chilometri. Dopo circa 17 km attraversiamo il confine tra Toscana e Lazio Ce ne vogliono in tutto una trentina, e sette ore di cammino, per arrivare alla nostra destinazione di tappa, la città di Acquapendente.

Giungiamo alquanto stremati dalla fatica e dal caldo verso le 14,30. L’ostello dove ho prenotato per dormire è un’antica badìa di cui non vi faccio il nome perché sono certo che la protagonista di questa storia preferisca il riserbo. Si tratta di una suora che gestisce questo luogo per i pellegrini, gente di passaggio, gente che ha bisogno di un ricovero e di un pasto. La chiamerò Madre Angela. Tuttavia non è lei che ci riceve, bensì due volontari che prestano servizio gratuitamente nell’ostello, cucinano, fanno le pulizie, rifanno i letti. Sono gentili e premurosi. Ci spiegano che non c’è tariffa per vitto e alloggio. Chi può permetterselo può lasciare una libera offerta, mentre I poveri alloggiano gratuitamente.

Nel luogo c’è una meravigliosa frescura, all’interno dell’antico fabbricato si apre un chiostro con un pozzo al centro, mentre sul retro c’è un grande terreno lussureggiante di alberi da frutta, filari di vigna, ed ogni sorta di ortaggi. Regna un certo naturale disordine, rivelatore della fatica con cui questo enorme lavoro è stato fatto nel tempo e va rinnovato ad ogni stagione. Vicino ad una fontana c’è un pergolato ombroso con un tavolo e delle panche dove io e Matteo ci sistemiamo per consumare i nostri panini e dissetarci.

Dopo un sonnellino ristoratore scendiamo nel chiostro. Queste sono le giornate più lunghe dell’anno, sono le cinque e mezza e il sole è ancora alto, ma nel chiostro c’è ombra e frescura. E’ lì che incontriamo Madre Angela, seduta sotto il porticato. E’ una donna dall’età apparente di 60 anni, un volto bellissimo che mi è impossibile descrivere, ricordo solo la serenità, la forza, l’amore che esso irradia. La suora siede compostamente, contornata dai suoi due aiutanti con cui conversa sommessamente. Io e Matteo ci sediamo di fronte a lei su una panca e lei si informa del bimbo e si congratula con lui che abbia voluto seguire il nonno nell’esperienza del cammino. Le chiedo di raccontarci di questo luogo. Madre Angela esita come per riordinare i pensieri, o forse nella storia ci sono aspetti troppo personali per essere raccontati, ma ecco che inizia. La voce bassa mi costringe ad avvicinarmi un poco per sentirci meglio.

“Molti anni fa ero in un convento. Non mancava il da fare, ero madre superiora, dovevo preoccuparmi un po’ di tutto perché il convento funzionasse a dovere e le sorelle svolgessero lietamente i loro compiti spirituali e materiali. Però ad un certo punto questo cominciò a non bastarmi più. Mi consultai con lui, volevo essere certa che il mio non fosse un atteggiamento di superbia, ma lui mi rassicurò, mi disse di seguire ciò che mi dettava il cuore. Così lasciai il convento.”

Tutto intorno nel chiostro c’è una grande quiete, si sente solo il cinguettio di uccelli. Vorrei chiederle cosa non le sia più bastato, ma taccio perché intuisco che lei ce lo dirà. “Fu così che andai a Roma e mi misi a cercare. Trovai un vecchio garage abbandonato in un quartiere di periferia. Volevo farne un rifugio, un piccolo ricovero per poveri dove prendermi cura di loro, dare loro un tetto e cibo e magari conforto dell’anima. Ma il luogo andava completamente rimesso in ordine, occorreva costruire delle stanze, metterci dei bagni, una piccola cucina, e anche una stanzetta dove potessi vivere io. Per questo occorreva denaro. Una suora non ha risparmi da investire. Il problema pareva insolubile, così mi consultai ancora con lui, gli spiegai il problema e i miei dubbi, ma lui mi incoraggiò ad andare avanti.”

Tra me e me penso che lui, l’amico di Madre Angela, dispensatore di così saggi consigli, dovesse essere un tipo molto speciale di commercialista. “Andai così a parlare con un monsignore nella curia diocesana – continua lei – e anche lui mi incoraggiò ma di soldi da darmi ce n’erano pochi, dovevo darmi da fare anche con la mia modesta persona. Sentii i parroci dei quartieri circostanti, il problema era sempre lo stesso, ma saltarono fuori parrocchiani che erano muratori, idraulici, elettricisti, brava gente. Chiesi loro di darmi una mano e me la diedero. Così, un po’ per volta, il ricovero nacque e prese a funzionare. Il lavoro di certo non mancava! Non avevo mai un letto libero. E c’è sempre stato qualcuno pronto a darmi una mano.”

A questo punto Madre Angela sosta e si fa nuovamente pensierosa. Intuisco che qualcosa sta per avvenire, una svolta importante nella sua storia. “Beh, io ero completamente felice di ciò che facevo, L’alloggio era una piccola cosa, ma i bisognosi che aiutavo mi ricambiavano regalandomi una grande gioia. Finché un giorno una persona che conoscevo venne a dirmi che in un paese a nord di Roma, a 100 o 150 km di distanza, sulla Via Francigena c’era una struttura religiosa abbastanza grande in stato di abbandono da molti anni. Perché non andare a vederla? Così feci. Il luogo era questo e, pur in completa rovina, era così bello da farmi battere forte il cuore. Ma dopo un’accurata ispezione disperai. Il tetto aveva ceduto in più punti e andava interamente rifatto. I muri perimetrali parevano solidi, ma gli interni erano un disastro, impianti inesistenti, tutto da rifare da cima a fondo. Inoltre la casa era diventata con gli anni una gigantesca uccelliera. Vi avevano nidificato uccelli di ogni tipo, e c’era in terra uno strato di guano alto mezzo metro. Il terreno sul retro era un ammasso di rovi che avevano divorato il lavoro dei frati che vi avevano dimorato in precedenza. Una cosa totalmente fuori dalla mia portata, me ne tornai a Roma. Ma con il passare del tempo quel garage con le sue poche stanzette cominciò a sembrarmi sempre più insignificante rispetto a quanto avrei potuto fare in una struttura come questa. Temetti però che un simile pensiero potesse nascondere un imperdonabile peccato di presunzione, di ambizione personale. Di cos’altro avevo bisogno che già non avessi? Dovevo tornare a parlare con lui, e lui fu subito disponibile ad ascoltarmi e consigliarmi. La tua fede, mi disse, non è in contrasto con la possibilità che ti viene offerta di ampliare la tua opera, e quella che tu chiami ambizione è cosa buona e giusta se indirizzata a realizzare il Bene. Questo è il compito dell’essere umano sulla terra, prima di approdare alla vita eterna. Le buone opere contano più dei buoni pensieri.”

Ascoltando Madre Angela parlare, mi rendo conto che lui non è per niente un bravo commercialista, lui è in realtà Lui e basta. “A questo punto – continua la suora – avevo bisogno di lasciar depositare i miei pensieri e le cose che Lui mi aveva detto. Per me il modo migliore per riuscirci è sempre stato quello di lavorare, lavorare, lavorare. Così mi misi a rinnovare il vecchio garage, tinteggiai le pareti con colori più allegri, sistemai una lavatrice che mi era stata donata, aggiustai dei rubinetti e cose del genere. Pensai anche di non poterne più di quella stanzetta dove abitavo io, dove non c’era neanche una finestra. Sentii un forte bisogno di aria, luce. Tracciai con una matita una finestrella sulla parete che ritenevo più adatta, presi un piccone e feci un bel buco. Mi accostai per respirare l’aria fresca che veniva da fuori, e guardai cosa c’era lì davanti. Dirimpetto, sulla strada che costeggiava il muro posteriore del mio garage c’era un negozio con un’insegna che diceva “Impresa di pulizie”. Lui mi ha dato un segno! pensai subito. Uscii, feci il giro dello stabile e mi diressi verso il negozio.

C’era dentro il proprietario che mi guardò meravigliato perché ero entrata nel negozio tutta impolverata dai calcinacci. Ero trafelata, così lui mi fece sedere e mi offrì un caffè. A cosa devo l’onore, mi chiese. Gli raccontai di questo vecchio convento abbandonato e di ciò che avrei voluto farne. Ma come fare per rimetterlo in ordine dalla situazione di rovina in cui si trovava? L’uomo mi ascoltò in silenzio e alla fine disse, bene, andiamo a vederlo. Come? Quando? Adesso, rispose. Così, dopo essermi rimessa un pochino in ordine, montai in auto con l’uomo e partimmo per Acquapendente. Quando arrivammo qui, lui ispezionò tutto con grande cura, e prese nota di tutto su un taccuino. Ebbene? Gli chiesi quando parve che avesse terminato. Ci vorrà tempo, rispose. E quanto costerà? Chiesi. Ci vorrà tempo, ripeté. Adesso torniamo a Roma.”

Mentre Madre Angela racconta, tutti la ascoltiamo in perfetto silenzio. Le ombre del pomeriggio hanno ormai completamente invaso il chiostro e il tempo sembra essersi fermato. Una magia che è difficile descrivere, una magia speciale si è impadronita di noi e di questo luogo. “Quello che accadde mi parve un miracolo, racconta con voce bassa la suora. Forse fu un miracolo, qualsiasi cosa noi possiamo intendere per miracolo. Per me miracolo è un segno tangibile che l’amore muove ogni cosa. Ebbene quell’uomo, il proprietario dell’impresa di pulizie, si mise in moto. Nei giorni feriali mandava avanti normalmente la sua impresa. Il sabato mattina all’alba lui e tre o quattro dei suoi operai partivano con un furgone e venivano qui a lavorare sabato e domenica. Quando ebbero ripulito tutto dal guano degli uccelli, ormai molti in paese sapevano quello che stava succedendo qui. Cominciarono ad arrivare contadini e altra gente umile con gli attrezzi, motozappe, motoseghe e quant’altro e ripulirono perfettamente i terreni dai rovi e dalle sterpaglie. Io venivo qui ogni volta che potevo ed era estasiata nel vedere come tutto era cambiato. Rifare il tetto era un grosso problema, ma ci fu chi regalò tegole e travi e arrivarono muratori per fare il lavoro. Fatto il tetto, ecco un geometra per riprogettare gli interni e gli impianti. Tutto a norma! Disse. La voce correva veloce nei dintorni. Si presentarono idraulici, elettricisti, imbianchini. C’è bisogno di qualcosa? domandavano. Nessuno chiese un soldo. Ci fu un solo momento doloroso, quando dovetti chiudere il piccolo ostello di Roma. Ma i pochi ospiti ebbero tutti una sistemazione, e finalmente mi trasferii qui.”

Madre Angela si ferma qui e capiamo che la storia è terminata. Probabilmente è giunta l’ora della preghiera, la suora si accomiata da noi e scompare in un piccolo passaggio. Non rivedremo più Madre Angela né la sera a cena nella grande cucina del convento con gli altri ospiti, né la mattina dopo alla partenza per Bolsena.
Qui finisce il mio racconto. Ma devo dirvi che quando si cammina invece di correre insensatamente in automobile si ha più tempo per guardare le cose e maggiore disposizione ad aprire l’anima. E allora certe cose che normalmente ci sfuggono le notiamo. I miracoli, qualsiasi cosa siano, possono far parte di queste cose.

Beh, ho già parlato abbastanza. Magari troveremo un’altra occasione. I miracoli non mancano, particolarmente ai pellegrini. Ad esempio quella volta che ero in cammino in Galilea…

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