Un tempo appena sufficiente per una corsa dalla stazione ferroviaria alla magnifica Piazza del Duomo. Siamo circondati dai luoghi, anzi – per meglio dire – dalle scenografie del mitico festival. Negli stretti vicoli, tra i muri di pietra si annidano antiche memorie di concerti, balletti, conferenze. E poi la vita nelle strade e nelle piazze, tra un evento e l’altro quando bar e ristoranti si riempivano e ai tavoli trovavi gli artisti ed il mitico fondatore Menotti. Ricordo che fermammo Dario Fo, aveva appena preso il Nobel, e si intrattenere a lungo a chiacchierare con noi. Un’altra volta eravamo in una trattoria ed entrarono una ventina di cantanti russe dell’opera Guerra e Pace. Chiesi loro se potevano cantarci qualcosa e dopo breve consultazione si lanciarono in un’aria russa. Erano donne di fattezze poderose e dai seni immensi, e le loro voci erano così potenti da far tremare i vetri delle finestre diffondendosi nei vicoli di mezza Spoleto. Alla fine eravamo storditi, come confusi. Uscendo pensai bene di raccogliere gli autografi. Forse sotto l’influenza di un fiasco di rosso, una delle donne scrisse “I love you”.
Un’altra cosa che ricordo volentieri sono i concerti mattutini al teatro Caio Melisso, quando le artiste si presentavano sulla scena con i capelli ancora scarmigliati, le palpebre pesanti della notte, l’abbigliamento sommario, insomma erano irrimediabilmente sexy. Melodie meravigliose quelle suonate al Caio Melisso di prima mattina quando la città era torpidamente impegnata a smaltire le ore piccole dei dopo teatri.

Ma il tempo è avaro e i ricordi svaniscono rapidamente come sono venuti. Corriamo nella città bassa a prendere il bus che ci porta a Norcia.